Chiamateli "talent", chiamateli "reality", chiamateli come preferite: per noi sono semplicemente i cooking show, programmi televisivi i cui protagonisti sono cuochi amatoriali, chef pluristellati, fornelli e ricette di ogni genere.

Alimentato dall’impazzare del cosiddetto food porn, si tratta di un fenomeno originariamente anglosassone che oggi è in fortissima espansione, reso virale soprattutto dalla crescente popolarità di alcuni canali televisivi venuti a galla con l’avvento del digitale terrestre: Real Time, Cielo e Dmax su tutti.

Va però detto che anche piattaforme mainstream come Sky e Rai (vi dice niente “La prova del cuoco” con l’eterna Antonella Clerici?) si sono ormai adeguate a questa realtà, cavalcando l’onda di una moda che fa registrare un successo strepitoso in termini di ascolti e di gradimento da parte dei telespettatori.

In principio era il canale digitale del Gambero Rosso, nel cui palinsesto venivano inserite performance live durante le quali uno chef illustrava le proprie ricette cucinando i piatti in tempo reale davanti a un pubblico: è in questo modo, ad esempio, che Simone Rugiati ha costruito le proprie fortune, diventando la star di altri programmi di successo come Cuochi e fiamme. Altro volto particolarmente noto per chi bazzica su questi canali è quello di Alessandro Borghese, che nei suoi cooking show propone un’idea di cucina nella quale i freddi tecnicismi del mestiere vengono decisamente stemperati, lasciando spazio a un approccio bonario, cordiale, intimo, amichevole e creativo.

Come non citare poi Benedetta Parodi, che partendo dal giornalismo ha scelto di abbracciare la passione per la cucina portandola sul piccolo schermo con programmi come Cotto e mangiato e I menu di Benedetta? Divertenti e fantasiose sono poi le avventure di Chef Rubio, che con il suo Unti e bisunti ha fatto conoscere il vero street food, il cibo di strada nostrano, a tutta la platea televisiva italiana.

E quando il cooking show assume le tinte della competizione, ecco che nascono prodotti televisivi come Masterchef, Hell’s Kitchen e Bake Off, nei quali i concorrenti sono chiamati a sfidarsi a colpi di ricette per aggiudicarsi l’ambito premio finale: una sostanziosa somma di denaro e la possibilità di scrivere e pubblicare un libro di cucina con le proprie ricette. In questo caso, la spettacolarizzazione della sfida culinaria rappresenta l’ingrediente clou, la formula magica che garantisce il successo di queste trasmissioni: la tensione è il fattore adrenalinico che inchioda lo spettatore davanti allo schermo e lo spinge a tifare, proprio come se si trattasse di un incontro di calcio, per un concorrente piuttosto che per un altro. In questo caso, i cooking show trasformano ristoratori di successo (come il “cattivissimo” Joe Bastianich) o chef pluridecorati (come Bruno Barbieri e Carlo Cracco) in vere e proprie star della televisione, creando dei personaggi che si ergono allo status di divi ottenendo una popolarità che con la loro professione, da sola e senza il contributo della tv, magari non sarebbe arrivata.

Ci sembrava doveroso, infine, accennare anche a un’ultima tipologia di cooking show, nella quale il personaggio televisivo (che, come al solito, è uno chef), viene chiamato a risollevare le sorti di locali e ristoranti in piena crisi: l’esempio più famoso è Cucine da incubo, che ha reso celebri Gordon Ramsay (in tutto il mondo) e il napoletanissimo Antonino Cannavacciuolo (in Italia): anche in questo caso, la cucina e la gastronomia rappresentano più che altro lo sfondo di una vicenda nella quale sono altri fattori a trionfare, le tensioni interne tra i membri dello staff, la crisi e la rinascita verso il lieto fine auspicato da tutti. Della serie “e vissero felici e contenti”.