Profumi, colori e prodotti tipici campani, prima ancora che panorami, contraddistinguono la nostra regione. Patria per eccellenza della dieta mediterranea, la Campania vanta un patrimonio gastronomico immenso che ancora oggi si conserva nelle ricette e nelle tradizioni tramandate di generazione in generazione.

Lo skyline della tavola campana traccia, prima ancora e alla base stessa della pizza, uno dei suoi ingredienti principali: la mozzarella. Un prodotto millenario legato all’introduzione dei bufali nella nostra penisola e di cui si hanno le prime testimonianze scritte nell’XI secolo ad Aversa, dove si attesta che la principessa Aloara distribuiva una mozza ai monaci di un’abbazia alle porte della città. In seguito si hanno testimonianze scritte a Capua nel XII secolo e due secoli dopo anche in Italia centrale, nelle Marche. Un’arte antichissima quella casearia campana, che tutt’oggi non teme confronti.

Un altro dei prodotti tipici campani datati millenni, anche questo un elemento (chiave) della pizza, è l’olio. L’olivo rappresenta da sempre un elemento caratterizzante del paesaggio, della tradizione culinaria e dell’economia di molte aree campane. Una di queste è la bellissima Penisola Sorrentina, dove la produzione dell’olio è antichissima. Difatti il capo Minerva, l’attuale Punta Campanella, era consacrato proprio al culto della dea della Sapienza, ritenuta dai greci e poi dai romani la creatrice dell’olivo, alla quale i pellegrini offrivano appunto l’olio da esso ottenuto.

Il più tradizionale e diffuso dei salumi della regione invece è il salame napoletano. Storicamente considerato una merce così pregiata da essere donata non ad una dea, come l’olio, ma in cambio di prestazioni altamente professionali o consumata in occasione di feste e ricorrenze. Un impiego questo che ne faceva un bene prezioso al quale dedicare molte precauzioni e tecniche di lavorazione particolari, dall’affumicatura alla stagionatura, tramandate tradizionalmente di nonno in padre e in figlio.

Più caratteristici, e parte integrante del patrimonio gastronomico napoletano, sono i famosi taralli sugna e pepe. I taralli che già nel ‘700 riempivano quel ventre di Napoli di cui ha scritto Matilde Serao, perché c’era una fame che non permetteva di buttare via nulla e così i fornai riciclavano lo “sfriddo” (i ritagli) della pasta con cui preparavano il pane, vi aggiungevano “nzogn” (la sugna) e il pepe, formavano delle striscioline, le attorcigliavano e gli davano la forma di ciambella. Una ricetta nata dalla fame e dall’ingegno napoletano che solo nell’800 si arricchisce di un altro dei suoi ingredienti principali tutt’oggi presente, la mandorla.

È proprio ai taralli che si accompagna uno dei migliori vini tipici campani, l’Aglianico. Dalla zona beneventana a quella avellinese, è un vitigno antico introdotto in Italia nel VII secolo a.C. con la colonizzazione greca del Meridione. Da sempre molto pregiato, considerato vino degno di re sulla tavola di Federico II di Svevia ed esaltato da alcuni enotecnici piemontesi recatisi in Campania dopo l’unificazione italiana come Re dei vini e vino da Re.

Insomma, il pacere della tavola è da sempre uno dei punti di forza dell’immagine di questa terra, e la bontà e la storia dei sapori tipici campani lo confermano. Una bontà che accompagnata da una piacevole compagnia trasforma lo “stare a tavola” in un vero e proprio rito.

Ed è proprio per omaggiare ed esaltare questi sapori che abbiamo ideato La Settimana del Gusto Campano, con una combinazione di prodotti tipici campani pensata proprio per rivivere l’esperienza di un’antica ma sempre attuale tradizione culinaria, la nostra.